L’Italia spende circa l’1.45% del Pil per la ricerca, si e no la metà del capitale investito dalla Germania.
Intelligenza Artificiale: Italia e PNRR
Dopo una lunga attesa anche l’Italia ha svelato e presentato a Bruxelles il suo piano di sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA) su cui verranno convogliati parte dei fondi PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per la digitalizzazione.
Una buona notizia che arriva in un momento altrettanto delicato, in cui l’Italia non è sicuramente tra i paesi più sviluppati d’Europa e sembra perdere terreno anno dopo anno.
Il confronto con le altre realtà Europee di spicco, Germania, Francia e Inghilterra ci vede agli ultimi posti in quasi tutte le classifiche nonostante la produttività, a discapito dei numeri, risulti molto promettente.
- L’Italia spende circa l’1.45% del Pil per la ricerca, si e no la metà del capitale investito dalla Germania.
- In Italia ci sono circa 740 ricercatori IA attivi, contro gli oltre 2500 di Germania, Francia, Inghilterra (come riferimento Europeo).
- In Italia ci sono state circa 32 mila domande di brevetto contro: Germania (178 mila), Francia (67 mila), Inghilterra (54 milia).
Se queste sono le premesse quale potrà essere l’obiettivo?
Il talento c’è. I fondi ci sono. Ma la concretezza è da verificare.
Attraverso l’utilizzo dei fondi del PNRR l’Italia sta puntando a fare il salto di qualità, o quanto meno portare le proprie forze interne al pari delle Big europee dalle quali rischiamo di creare troppo distacco.
L’idea è quella di far diventare l’Italia un polo tecnologico di spicco, coccolando i propri talenti ed allettando gli studenti/ricercatori esteri provando ad invertire il trend della fuga di cervelli che sta pian piano svuotando i nostri laboratori.
Il tema focale di questo piano di investimenti è senza dubbio la creazione di un ecosistema solido in cui poter formare e crescere le menti e le risorse utili ad innescare l’applicazione dei sistemi IA.
Rafforzando le relazioni tra pubblico, privato, università e ricerca si punterà a favorire l’interscambio di informazioni a qualunque livello con un conseguente affinamento di tecniche e modalità operative comuni.
Il tema dell’istruzione rimane centrale.
Considerando i pessimi incentivi che l’Italia offre ai suoi ricercatori non è strano sentire storie di chi ha proferito imparare una nuova lingua e andare altrove piuttosto che rimanere in Italia.
E non è strano pensare che un’accelerazione nel settore dell’istruzione sia quantomeno doverosa prima ancora di poter fantasticare sui risultati che si potranno ottenere.
Anche con la migliore infrastruttura non si potranno creare capolavori se non sono stati formati cervelli in grado di crearne.
E il lavoro?
L’IA non è solo un nuovo trend del momento, è qualcosa si cui si parla da decenni ormai e che viene narrata in qualsiasi declinazione.
L’Intelligenza Artificiale come sappiamo, è capace di grandi cose ed è andata via via crescendo la paura che questi esseri fatti di regole e codici incomprensibili arriveranno addirittura a sostituire l’uomo in tanti settori lavorativi.
E’ tutto vero. Ma…
Il World Economic Forum afferma che a fronte di 85 milioni di posti di lavoro persi a causa dell’introduzione dell’IA ne verranno creati 97 milioni, ovviamente saranno mansioni diverse e ovviamente cambieranno i punti di riferimento classici dei modi di lavorare.
E guarda caso, torna in gioco l’istruzione.
Come poter convertire così tanta forza lavoro e come poter gestire una transizione che porterà dei semplici manovali/artigiani a dover interagire con tecnologie sempre più complesse?
Semplice, non si può.
E’ umanamente impossibile aspettarsi di compiere uno sforzo simile senza intoppi, senza proteste e scioperi.
Sarà possibile, ad esempio, puntando ad istruire le nuove generazioni direttamente durante il loro classico percorso di studi. Così come è avvenuto negli anni per l’informatica.